Era il 9 agosto 1987.
Un'amichevole.. solo un’amichevole.
Ma di quelle che ti cambiano la vita.
Avevo 13 anni, una sciarpa biancoazzurra al collo e sognavo di vedere giocare, con i miei occhi e non da uno schermo, tale Diego Armando Maradona, “campione dei campioni”.
Il Rigamonti ribolliva di gente e per me era la seconda volta sui "gradoni" ma la considero, a tutti gli effetti, la prima, l’inizio di tutto: guardando Maradona fare magie con la palla fra i piedi, mi innamorai del calcio.
Ma guardando quella "V" bianca sul petto azzurro delle Rondinelle... mi innamorai del Brescia.
E da allora questi due amori non sono mai tramontati.
Su quei gradoni prima e sui seggiolini poi, mi sono appoggiato centinaia di volte, guardando giocare squadre a volte entusiasmanti, a volte imbarazzanti.
A volte forti e fortissime, a volte… lasciamo stare.
Prendendo il sole cocente che ti "strina" la faccia. Quello delle partite alle 14, la domenica pomeriggio, quando non c’era tempo neppure per pranzare. Quando si andava a Messa alle 11 altrimenti la mamma “pestolava” e poi dritti in stazione a prendere il trenino che scendeva dalla Valcamonica verso la città.
Con gli amici più cari, allacciando la sciarpa ai porta valige, così che sventolasse bene dai finestrini.
Facendo baccano e cantando cori, che si arrivava allo stadio ormai senza più voce.
Indossando il giubbino di jeans con la toppa della curva nord cucita dalla mamma sul petto (non senza proteste), perché allora erano pochi a potersi permettere il giubbino ufficiale della squadra.
Al Rigamonti ho preso di tutto: la neve, la grandine, la pioggia un sacco di volte.
L’aria che “fischia” giù dalla Maddalena e ti gela le orecchie.
Ma in 40 anni di stadio ho migliaia di ricordi nitidi, tranne quello delle intemperie.
Perché caldo o freddo, sole o acqua, quel che conta, quando sei su quei gradoni, è la partita.
Sono i giocatori...
E di quelli, con la V sul petto, ne ho visti tanti passare.
Anche quelli che ti facevano venire voglia di tirargli addosso il cuscino dai gradoni.
Eh si, perché, diciamocelo... si è capaci tutti ad essere tifosi quando la 10 la indossava Roby, ma un po' meno quando la V la indossava tale Danut Lupu che, con tutto il rispetto, non fu proprio un fuoriclasse.
Eppure io ero lì! Noi eravamo lì.
Sia con Roby che con Lupu.
A incoraggiarli, a spronarli, a dare loro la carica dalla Curva!
Perché gli occhi di un tifoso sono per la maglia, per i colori, un po’ meno per chi li indossa.
Sono per la squadra, non tanto per gli uomini o le categorie.
Un tifoso sogna di provare emozioni forti, quando va allo stadio a vedere la sua squadra del cuore, sogna di pareggiarla sul filo di lana se sta perdendo, di vincerla all'ultimo respiro... e anche quando perde, sogna.
Sogna che la prossima sarà quella buona, che i ragazzi sapranno reagire.
E più invecchia (me ne sono accorto per esperienza), più sogna: porta i suoi figli al Rigamonti e segna la data sul calendario conservando a lungo il biglietto, sogna di portarci i suoi nipoti fin da piccoli, di vedere i loro sguardi nell’entrare in curva, di sentire le loro voci intonare i cori, di osservarli esplodere nell’urlo liberatorio di esultanza dopo un goal… e di avvinghiarsi a loro nell’abbraccio di gioia di una vittoria.
Perché da noi, ai piedi del Golem, è tradizione irrinunciabile essere tifosi bresciani.
E' una questione di sangue, qualcosa che si tramanda da generazioni... è il dovere di un padre verso i figli e di un nonno verso i nipoti.
Che quella maglia la portino Baggio o Lupu, quel dovere non cambia. Fa parte di noi, di noi bresciani! Siamo persone per bene, noi bresciani, crediamo in questi valori!
Crediamo che questo sport tanto maltrattato, sia ancora uno strumento per unirci ai nostri discendenti, ai nostri vicini, ai nostri "lontani", ai nostri amici.
Crediamo che "el bresa" non sia solo una squadra di calcio, ma sia affetto, valore, appartenenza, orgoglio di un grande popolo!
E tu... si, proprio tu che con un colpo di spugna hai cancellato tutto questo, non so se leggerai mai queste righe e se ci rifletterai. Ma sappi che hai perso!
Hai perso tu, non noi!
Perché noi, anche dovessimo ripartire dai campetti dell'oratorio, quei valori non li perderemo. Non li rinnegheremo!
Continueremo a custodirli nei nostri cuori. A tenerli vivi.
E io sono soltanto uno, ma decine di migliaia di persone potrebbero scrivere lo stesso.
Noi siamo tanti. Siamo un popolo intero.
Tu, invece, sei solo. E questi valori non potrai mai provarli.
Forse avresti potuto, ma non lo hai fatto.
E la tua grande sconfitta sarà pensare di avere sbeffeggiato un popolo intero, cancellando 114 anni di storia, ed accorgerti che, in realtà, lo hai reso più forte.
Perché non sono le date a fare la storia, ma le emozioni, le persone…
Il Brescia non è solo una squadra di calcio, ma un fenomeno sociale, un patrimonio immateriale di una grande terra, di centinaia di migliaia di donne e uomini.
Anche quelli che al Rigamonti non sono mai entrati, anche quelli a cui il calcio non interessa.
Anche alle mamme che ignorano cosa sia un fuorigioco, ma comprano ai loro bimbi la maglia biancoazzurra con la V sul petto.
Come fece la mia, tanti anni fa, insieme al biglietto per vedere giocare dal vivo Diego Armando Maradona.
Tu credi essere riuscito a cancellare qualcosa di così grande?