Sulle note della bomba atomica...

#consiglidimusica a cura di Davide Bonetti*

6 agosto 1945, sono circa le 8 del mattino. 
Tre bombardieri Boeing B-29 Superfortress dell’aeronautica statunitense, dai nomi pittoreschi (Enola Gay, The Great Artiste e Necessary Evil), vengono rilevati dalla stazione radar di Hiroshima, nel Giappone sud-occidentale.

Le regole di ingaggio della contraerea nipponica non prevedono che si alzino in volo i caccia in caso di violazione dello spazio aereo da parte di piccole flotte nemiche. Il paese è allo stremo, e anche un po' di carburante risparmiato può fare la differenza: applicando le consegne ricevute, gli aerei giapponesi rimangono a terra.

Alle 8, 14 minuti e 45 secondi Enola Gay sgancia “Little boy” sul centro di Hiroshima; dietro quest’altro nome pittoresco, e ferocemente ironico, si nasconde l’arma di distruzione più micidiale che l’umanità abbia prodotto, almeno fino a quel momento: una bomba atomica, la seconda costruita nell’ambito del progetto Manhattan, dal nome in codice Mk.1. 64,13 chilogrammi di uranio arricchito in grado, esplodendo a 580 metri dal suolo, di uccidere sul colpo tra le 70.000 e le 80.000 persone, di radere al suolo il 90% degli edifici della città e di spazzarne via tutti e 51 i templi.
Non si era mai vista una simile potenza distruttiva, ma era solo l’inizio: la storia della guerra fredda e della politica dei blocchi contrapposti ha conosciuto una terrificante escalation nella progettazione e costruzione di bombe atomiche sempre più potenti. Ma “Little boy” fu il primo e unico caso di impiego di un ordigno nucleare in un’operazione di guerra; curiosamente (ma nemmeno troppo, per chi conosce la storia), da parte di coloro che si presentano tutt’ora come i difensori della pace e i paladini della democrazia.

Una prova di forza “muscolare”, Hiroshima (e Nagasaki tre giorni dopo), più ad uso degli alleati (presto avversari) sovietici che volta a piegare la resistenza giapponese, agguerrita finché si vuole ma inevitabilmente votata alla sconfitta (Berlino era caduta il 2 maggio, per mano proprio dei sovietici).
Sarebbe stato troppo facile scegliere, come brano musicale “a commento” di questi fatti, “A hard rain’s a-gonna fall” di Bob Dylan, scritta nel 1963 durante la crisi dei missili di Cuba, quando il mondo fu sull’orlo della Terza Guerra Mondiale, ovviamente da combattere con armi atomiche. Opportunismo, interesse, forse un briciolo di buon senso evitarono la catastrofe: al timone c’erano Kennedy e Khruscev.

Abbiamo scelto invece un brano meno noto (Jackson Browne, “Lives in the balance”), che non tratta direttamente di guerra nucleare ma che mette a nudo gli interessi economici e le menzogne che si nascondono dietro le guerre, dietro ogni guerra:

“… Ti chiederai perché te lo ricordi, ma sai che lo hai già visto:
un governo mente, e un paese va in guerra. C’è un’ombra, sui volti degli uomini che vendono armi…
In TV e in radio non senti altro, che combattiamo per la libertà, e aiutiamo i paesi amici
ma chi sono quelli che chiamiamo amici? I governi che uccidono i loro stessi popoli,
o la gente che non ce la fa più, e raccoglie pistole, pietre e sassi?
Ci sono vite in sospeso, persone sotto il fuoco
Bambini ai cannoni, sangue sul filo spinato…
Voglio sapere chi sono gli uomini nell’ombra
Voglio che qualcuno gli chieda: Perché?”

Ascolta il brano: https://youtu.be/iU0IS0Yg19Q

* Coordinatore settore musica Violet Moon